sabato 24 novembre 2012

Portraits in Polandroid

Ovvero minute riflessioni.
Nel vivere quotidiano, talvolta, faccio il fotografo per sbaglio, il cuoco per passione. Fotografare oggi appare attività ambita, ma ancor più tutto quello sbattimento della postproduzione tipo che da una foto di merda si può ottenere un’opera d’arte. Io ho iniziato a lavorare con le foto nei primissimi anni ottanta dello scorso secolo; quando da reporter sfigato mi spedivano nei paesi dell’est e loro credevano di essere comunisti (però avevo una buona diaria). Lavoro del tipo che devi cogliere il momento giusto per un buono scatto nel momento in cui accade qualcosa un attimo prima che ti accada qualcosa di spiacevole
Poi fra vicissitudini varie trovi un ufficio postale, infili un rullino in una busta e lo spedisci a un laboratorio dell'agenzia sperando di non avere la sfiga di Robert Capa (e assolutamente non mi paragono a Lui anche se solo gli dei sanno quanto vorrei possedere un solo decimo del suo talento) che causa fretta ti bruciano, sbagliando i tempi, lo sviluppo dei negativi. O peggio se li perde la posta o li mastica un cane antidroga in dogana perché dicono che la pellicola ha lo stesso odore della droga. Hai solo due certezze: Non sai cosa hai esattamente fotografato e come, lo intuisci per esperienza e speri anche un poco assai nella fortuna, perché a quel tempo non disponevo di un display al posto del culo della fotocamera che ti preme sul naso e ignoravo totalmente un istogramma. Possiedi solo un esposimetro; sei convinto di aver fatto almeno una buona foto ma probabilmente sarà uno schifo perché la svilupperanno male e poi il taglio del grafico e le scelte dell’agenzia in combutta con l’editore braccino corto su carta e inchiostri non renderanno giustizia alla tua operativa abilità, forse arte.

Tornando a oggi tutto è diverso ed evoluto, ci si aggiorna di punto-cifra in punto (x.0.1, 0.2, 5.0, 5.4, 6.3; la serie numerica per sua intrinseca natura è illimitata) ed è giusto così, altrimenti saremo ancora là, scalpellini, a incidere la pietra. La cifra artistica in termine grammatico o "regola d'arte" viene raramente di fatto misurata. Assai spesso vi si sostituisce il valore di abilità nella manipolazione dei bit. È questo di certo un bel valore aggiunto nella generazione di un'immagine, in una sana moderna generazione che genera immagini. Ma se un buon carpentiere deve costruirvi la casetta dei vostri sogni che ve ne fate della interpolazione di bit e delle clonature e ritocchi virtuali?
Io, adoro il mio "scemo di latta", quasi lo amo, mi rende possibili cose impossibili o semplici in pochi istanti che a dipingere su tela ci metterei mezze giornate. Adoro il progresso; mi perplimono, invece grazie alla potenza di comunicazione (dello scemo di latta), tutte le dietrologie che si generano su codesti argomenti. Constato che lo "scemo di latta" possiede velocità di calcolo, ma brilla della stessa intelligenza di chi lo manovra.

È così che amo "Polandroids". Mi accelera i tempi, abbatte i costi, mi riduce i problemi. Problem solving!

p.s.: Come fotografo nell’animo sono sempre rimasto un ambulante (fotoreporter) e anche se mi diletto talvolta in studio fra luci e fondali a cercare il perfetto (ma la ricerca della perfezione porta all'inconcludenza) mi resta abitudine cogliere l’attimo; cercare il punto di vista migliore fra chi fotografa e chi è fotografato. Credo che queste “Poladroids” siano nella loro merdaccia di definizione e colori un buon racconto alla faccia di quelli che: se non hai la fotocamera giusta; se ti manca la perfezione tecnica; se non photoshoppi da dio; se la modella non è gnocca; se per i flash non hai speso almeno duemila euro; se non usi il plug per l’effetto flou, o non hai il plug nel culo; se… potrei raccontarne ancora millanta. O’ Yeah!

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